Multi-intervista a Ellah K. Drake

La multi-intervista è un’idea nata su Instagram e si differenzia dall’intervista classica perché le domande arrivano da più persone (altri autori, lettori, semplici curiosi, ecc.). Maggiori dettagli sull’idea nel post dedicato.

Hai un personaggio al quale sei particolarmente legata?

Innanzitutto, ringrazio Maria per questa opportunità!
Io sono legata a tutti i miei personaggi! Nel momento in cui penso a una storia e loro si affacciano alla mente, non li mollo più. Li penso notte e giorno, ci litigo, li lascio sfogare, li lascio crescere, diventano parte della mia vita. In ognuno di loro c’è qualcosa di me, poi però prendono la loro strada. Ho, a dire il vero, una predilezione per i protagonisti maschili. Per me sono una vera sfida. Poter entrare nella psicologia di un uomo è difficile, rischioso, ma esaltante perché scrivo, quasi sempre, in POV alternato (maschile e femminile) e in prima persona. Sono affezionata a tutti i miei ‘uomini‘.

Visti tanti generi… in quale ti esprimi meglio e fai “meno fatica”?

Devo anticipare una cosa. Quando scrivo, non bado mai al genere, ma mi lascio condurre dalla storia. La maggior parte dei romanzi che ho scritto, anche se di diversi trope (per chi è a digiuno, il trope è il tipo di storia trattata, le nomenclature sono in inglese. Ad esempio: hate to love, friends to lovers, second chance, music, drama, hot, spicy etc..), fa parte del genere romance, per cui sì, il rosa o romance è il genere a cui mi affido di più, la mia comfort zone. Sono anche quelli più apprezzati dai lettori.

Ricordi la primissima cosa che hai scritto? L’hai pubblicata?

Sì. No.
Sì, se mi dici primissima, la ricordo molto bene, è stato un racconto horror.
Non l’ho mai pubblicato perché l’ho scritto a otto anni.

Chi o cosa ti ha indirizzata verso la scrittura?

Scrivo da che ho capito come tenere in mano una penna. Ho sempre avuto una mente molto creativa e un animo troppo sensibile, ma un temperamento forte. Ho cominciato da giovanissima, scrivevo racconti e poesie per conto mio, poi dopo l’università ho scritto il mio primo romanzo rosa, acerbo e immaturo, ma è stata la prima opera e l’ho messo nel cassetto. Una mia carissima amica, nel 2000, leggendo proprio quel romanzo, mi ha esortato a intraprendere questa strada.
Ha dovuto forzare molto la mano perché non ne volevo sapere. Un giorno mi ha portato un trafiletto di giornale in cui c’era il bando per un concorso nazionale e mi ha chiesto di provare a scrivere un racconto. Beh, dopo parecchie lamentele, alla fine mi sono decisa, l’ho scritto e inviato e mi sono posizionata al secondo posto tra i migliori racconti segnalati, come si suol dire, buona la prima. A quel punto, mi sono armata di coraggio e ho intrapreso questa strada.

Quali sono i tuoi credo letterari?

Questa è una domanda strana. Cercherò di rispondere in modo spontaneo, magari non riuscirò a soddisfare la curiosità di chi l’ha posta, ma tant’è, mi viene in mente solo ciò che segue.
La scrittura la devi Vivere appieno, in tutte le sue sfumature. Sembrerebbe semplice mettersi davanti a una pagina word e cominciare a scrivere, ma nella realtà è tutto più faticoso e complicato. Ci vuole disciplina, studio e tanta pazienza. Ci sono scelte da compiere e strade da seguire, a volte anche sbagliate. Ci vuole umiltà, rigore, ma anche esperienza perché nessuno nasce ‘imparato’, il talento ci può anche stare, ma se non ci si impegna, è difficile proseguire. Ci si espone a un pubblico, consapevoli che saremo giudicati, criticati, osannati, lodati e anche presi a parolacce (mi è capitato anche questo). Bisogna credere in quel che si fa e farlo al massimo delle nostre potenzialità, con una preparazione apprezzabile, sufficiente a non scrivere cavolate sgrammaticate e gettarle in pasto a lettori ignari.

Visto che scrivi più generi, qual è quello che preferisci scrivere?
Tra tutti i generi che hai sperimentato, ce n’è uno con cui ti sei sentita più a tuo agio?

Io ho bisogno di scrivere romanzi di Luce. Non sopporto le storie oscure e fini a se stesse, atte a sorprendere ma senza un nesso logico (e di queste ce ne sono fin troppe), deve esserci un minimo di messaggio positivo da inviare al lettore. Per questo preferisco scrivere romanzi in cui i personaggi, dopo molte avversità che fanno parte della vita, alla fine riescono a superare gli ostacoli riscoprendo il valore più importante che sta alla base della nostra esistenza: l’Amore, il motore immobile del mondo. Platone docet.

Come ti vengono le idee per i tuoi libri?

Una canzone. Una frase. Una situazione strana. Qualsiasi cosa. Ho un aneddoto divertente. Anni fa ero in crisi perché volevo scrivere una storia d’amore emozionante, ma anche divertente, in grado di suscitare sentimenti positivi e qualche risata, ma non mi veniva in mente nulla. Un giorno accompagnai mio marito a prelevare in banca. Lui entrò per accedere al dispositivo bancomat. Era un giorno festivo. Quando finì e fece per uscire, rimase bloccato dentro. Non c’era verso che le porte si aprissero. Io cominciai ad andare nel panico, a urlare, ero davvero fuori di me, preoccupatissima per mio marito. Lui invece, restò tranquillissimo e cominciò a picchiare su tutti i tasti che trovava, fino a che le porte non si sbloccarono. Solo più tardi mi accorsi che fuori c’era un tasto per poterla aprire. Quella diventò la prima scena del nuovo romanzo. Inutile dire che ci siamo fatti un sacco di risate, è stata una scena esilarante!

Il libro che hai scritto a cui sei più legata?

Il più difficile romanzo che abbia scritto si intitola Ray of light. È una storia che tratta un tema molto delicato e difficile, ma che avevo il bisogno di denunciare. Mi ha dato filo da torcere, ma l’ho amata più delle altre per ciò che mi ha trasmesso mentre la scrivevo. È un thriller molto particolare, con elementi soprannaturali, ambientata in un antico monastero di Trento. In quella storia c’è di tutto, anche l’amore.

Cosa ti ha spinto a scrivere?

L’ho detto sopra. Scrivo da sempre, più che un’esigenza, è il mio modo di esprimermi e farmi conoscere agli altri, ma anche per capire me stessa.

Wow! Quale libro mi consigli come primo approccio per conoscerti meglio?

Ho cominciato a scrivere e pubblicare nel 2000, a trentadue anni. Ora ne ho quasi cinquantacinque, è trascorsa una eternità per me. Con il tempo, perciò, la mia scrittura è profondamente cambiata, è diventata più matura, più intimista, coinvolgente. Io consiglierei il romanzo che quindi mi rispecchia di più adesso: L’Amore fino a qui. Parla di Amicizia, di Amore e dell’importanza della famiglia e dei figli.

I libri di Ellah sono disponibili su Amazon.

Multi-intervista a Armando Grosso

La multi-intervista è un’idea nata su Instagram e si differenzia dall’intervista classica perché le domande arrivano da più persone (altri autori, lettori, semplici curiosi, ecc.). Maggiori dettagli sull’idea nel post dedicato.

Da cosa nasce la scelta stilistica di esternare i tuoi pensieri attraverso la poesia?

Ho sempre visto la Poesia come qualcosa di incisivo. Con essa riesco ad esternare più intensamente ciò che voglio comunicare con i miei versi, cosa che non riuscirei mai a fare in prosa.

È un genere meno letto rispetto alla narrativa e spesso ha meno presa sul pubblico di lettori, non temi che ciò che vuoi dire rischi di rimanere poco visibile o è invece una scelta il fatto di sapere di non proporre qualcosa che sia “per tutti”?

Ci sono molti pregiudizi riguardo la Poesia nella nostra Società. Purtroppo a Scuola con il solito programmino accademico ci fanno pensare che essa sia un qualcosa di elitario e che non si possa prestare ad un pubblico vasto. Io cerco invece di far capire come la Poesia abbia il compito di arrivare a tanta gente. La mia poetica ad esempio è molto semplice e quindi accessibile. Non per caso ricerco un linguaggio sincero, concreto e privo di regole stilistiche che il sistema scolastico ha creato e a mio parere, allo stesso tempo ha disintegrato con argomentazioni che hanno allontanato le persone ad approfondire la Poesia come genere letterario.

Hai qualcuno a cui ti ispiri?

Sarebbe scontato dirti che non ci siano degli Autori e Autrici che non abbiano ispirato il mio pensiero. Di sicuro rispondo dicendo che dopo aver letto la roba degli altri cerco di trarre spunto da ciò che mi è rimasto impresso dai loro scritti, però io prendo spunto principalmente da ciò che mi circonda, che mi capita e che vivo all’interno della nostra ambigua Società.

Quando hai deciso di iniziare a scrivere?

Ho iniziato a rendere pubblico il mio lavoro poetico a 24 anni, 3 anni di attività piena. Scrivo da molto più tempo, però credo nel concetto dell’esperienza e quindi avevo bisogno di vivere ancora altro per poter uscire fuori allo scoperto. Io credo che quando ci si sente pronti a comunicare qualcosa, lì è il momento di farsi avanti. Ed ho capito che scrivere Poesie era l’unica cosa che contava in questa misera vita terrena.

Quando hai scritto la tua prima poesia?

Crescendo vivevo situazioni economiche instabili e facevo qualche cavolata in strada. Sai con genitori separati, senza soldi i modi di sfuggire da tutto sto casino li cominci a pensare. Poi un giorno in piena adolescenza presi una penna ed un foglio e iniziai a buttare fuori tutto. Mi sentivo libero, come se il dolore schizzò fuori lasciandomi in uno stato di leggerezza incredibile. Mi sentivo fortunato ad avere un mezzo artistico per sfogarmi ed essere ambizioso . La Poesia è una rivalsa.

Cosa porta un giovane a scrivere un libro di poesie?

Di sicuro la volontà di comunicare le proprie idee, ciò che si pensa del Mondo cercando di dare delle risposte ad alcune domande esistenziali. La scrittura però dev’essere rispettata, devi sentirla dentro di te, perché lei ti tradisce di sicuro se non la rispetti.

I libri hanno una storia, aiutano a sognare, ad imparare, a conoscere ma la poesia, cosa ti insegna?

Ti insegna a non accentuare il superflluo, la sincerità dell’anima, la Poesia ci arriva dritta al cuore.

Da cosa prendi ispirazione?

Da una bottiglia di vino e tabacco ancora non rollato mentre in sottofondo Charlie Parker fa il suo dovere.


Il libro di Armando, Asfalto, è disponibile su Amazon.

Intervista bis a R. A. Eller

Ho già avuto occasione di parlarvi di questa autrice, dopo aver letto i primi volumi della sua eccezionale Gunsight Saga.

Da poco è uscito il quarto volume e, in attesa del capitolo conclusivo, ho pensato di togliermi qualche altra curiosità.

Potete trovare la precedente intervista qui.

Se volete farvi un’idea della storia, ecco le mie recensioni:
Gunsight
Nemesi
Dora
Almàs

È una delle migliori saghe che io abbia letto, con situazioni così variegate da catturare chiunque, vi consiglio di leggere subito il primo volume, perché sono certa che dopo non potrete che proseguire.

Tutti i suoi libri sono disponibili su Amazon.

* L’intervista *

La tua saga è ormai arrivata al quarto volume. Come ti senti? Sei soddisfatta dei risultati?

Devo dire di sì, sono molto contenta! E il merito è indubbiamente tuo e di tutte le altre bookstagrammer/lettrici e lettori che lo hanno letto, apprezzato e consigliato con tanta passione. Senza il vostro incredibile e prezioso aiuto, Gunsight sarebbe rimasto nascosto.
Da autrice non posso andare in giro a dire: leggete il mio libro perché è bello. È ovvio che nessun autore direbbe il contrario della propria opera e questo, ahimè, non lo rende affatto credibile come venditore. Quando lo dite voi lettori ci credo anche io, per cui: grazie di cuore a tutti voi che mi date fiducia.

Leggendola, ho apprezzato la precisione e la competenza tecnica in campi specifici (arti marziali, armi, Giappone, ecc.). Conoscenza diretta o tanto studio?

Si dice che bisognerebbe scrivere di quello che si conosce e sono d’accordo. Trovo indispensabile, soprattutto per gli autori, sapere di cosa stanno parlando. È chiaro che non si possa essere esperti di tutto, ma grazie a Dio oggi è possibile reperire ovunque le informazioni necessarie così da evitare errori insidiosi e stupidi. Quello che vediamo al cinema, spesso e volentieri non corrisponde alla realtà e per principio tendo a dare per scontato che il lettore ne sappia sempre più di me, per cui, dato che non voglio fare brutte figure, mi documento molto. Per alcune cose, come armi e combattimenti, ho un’esperienza diretta perché pratico Arti Marziali da circa un ventennio e più di recente mi sono iscritta a un poligono di tiro proprio per conoscere meglio le armi da fuoco.

Tra quanto uscirà il capitolo finale? Puoi anticiparci qualcosina?

Ehm… il capitolo finale di Gunsight, che per comodità chiameremo Quinto, si svolge circa un anno e mezzo dopo gli eventi di Almàs, che comunque è un abbastanza conclusivo di suo. Ragion per cui ho pensato di far uscire Quinto (non uccidermi)… un anno e mezzo dopo Almàs, quindi intorno a Maggio 2024. Non escludo comunque un cambio di piani editoriali, in queste cose sono piuttosto lunatica.
Mi piace definire Quinto il libro più dark della serie. Abbiamo un nemico veramente cattivo, senza alcuno scrupolo e che non guarda in faccia nessuno. I nostri avranno problemi seri a gestirlo e vedranno crollare (letteralmente) il loro mondo.

Quanto tempo hai impiegato per l’intera saga? E qual è stato il momento più difficile?

Ho iniziato a scrivere la saga di Gunsight all’inizio del 2016 per concluderla con molta calma alla fine del 2020.
Ho sempre scritto solo per me e mai con l’intenzione di pubblicarla, quindi non ho risentito della pressione di una scadenza e credo che questo abbia aiutato moltissimo nella gestione di una trama così complessa. Ricordo che in alcuni passaggi restavo ferma per mesi fino a quando non trovavo “la soluzione”, l’unica possibile. I problemi principali erano sempre gli stessi: “come fare arrivare il personaggio X al punto alfa in modo logico e non forzato?”. Adesso che è tutto nero su bianco sembrerà una sciocchezza, ma in alcuni punti mi sono scervellata per mesi. Vedeste i miei appunti!

So che stai scrivendo anche altro. Puoi accennarci qualcosa?

In programma per il 2023 ho due uscite, se tutto va bene.
Ad aprile vorrei pubblicare la raccolta di racconti sull’universo Gunsight. Avete presente le One Shot Stories che si vincevano nei miei contest su Instagram?
Proprio quelle. Saranno 10+1 bonus. In pratica sono “scene tagliate” dai libri della saga che fanno chiarezza su alcuni avvenimenti. Quella “bonus” sarà una sorpresa (spero gradita) per tutti.
Il secondo progetto invece riguarda un urban fantasy, quindi una cosa che non c’entra assolutamente nulla con Gunsight, né come storia né come genere. È un romanzo che ho scritto molti anni prima di Mike & soci e che sto riadattando. Spero vi piaccia. Io gli sono molto affezionata.

Qual è la cosa più difficile per chi si dedica alla scrittura?

La scrittura in sé non è difficile. L’autore è quella persona che se ne sta sempre un po’ per i fatti suoi, perché in testa gli parla già un sacco di gente che gli racconta cose. Un bravo autore è un osservatore che dietro ogni gesto o parola immagina una storia. Almeno io la vedo così.
Forse la cosa “difficile” è conciliare la scrittura – e quindi il proprio mondo creativo – con il lavoro quotidiano, le interruzioni, le aspettative dei lettori e gli editori che pubblicano di continuo stupidate pretendendo di convincere la gente che questo è proprio quello che vuole “il lettore”. È parecchio frustrante, lo ammetto e alle volte viene voglia di mollare tutto.

Qual è il personaggio che ami di più? E quello a cui senti di somigliare?

Questa domanda è cattivella perché nel bene e nel male li amo tutti. Amo le mille sfaccettature del loro carattere, le loro battute, perfino i loro difetti. Amo la glacialità di Lucilla, le battute di Skye, la folle lucidità di Mike, la pazienza infinita di Faulkner, l’incrollabile coraggio di Jade, la dedizione di Alexei e Kyoden… Toh, perfino la cieca arroganza degli antagonisti ha un suo perché: sono convinti fino all’ultimo di agire a fin di bene, tanto da generare un’ombra di dubbio.
Mi sento di somigliare un po’ a tutti, a dire il vero. C’è un po’ di me in ognuno di loro.

Perché un nome d’arte così criptico?

Oh, in fondo è un enigma molto semplice: si tratta di una lettura “all’inglese” delle iniziali del mio nome e cognome. Tutto puntato.
Mi serviva uno pseudonimo per tre motivi. 1: esiste già un’autrice col mio nome (incredibile ma vero). 2: penso che il mio italianissimo nome non sarebbe stato credibile in copertina con una trama e una storia come quella della saga. 3: ho sempre trovato attraenti i nomi puntati, quelli dove non si capisce se l’autore è uomo o donna. Per me non avrebbe alcuna importanza ma, triste da dire, ci sono ancora dei pregiudizi, soprattutto per il genere che tratto. Avete mai letto una spy story scritta da una donna?

Quali altre passioni ha R.A. Eller oltre a scrivere?

A parte le Arti Marziali, adoro il mondo dello spettacolo. Il cinema (non si direbbe, eh?!) e il teatro. Amo la magia e le emozioni che sanno creare e trasmettere i film, i musical, i balletti e le grandi opere. Se non fossi così maledettamente timida avrei fatto l’attrice.

Il prossimo sogno che vorresti vedere realizzato?

Credo che tutti gli autori vorrebbero vedere la propria opera su uno schermo (grande o piccolo) e il mio l’ho progettato proprio come se fosse un film, ma devo essere realista: a meno di non auto-produrlo da sola (cosa che non è materialmente possibile) mi sembra improbabile che accada.
Un sogno più realizzabile? Vorrei vedere la saga di Gunsight nelle librerie.

Multi-intervista a Eva Battiston

La multi-intervista è un’idea nata su Instagram e si differenzia dall’intervista classica perché le domande arrivano da più persone (altri autori, lettori, semplici curiosi, ecc.). Maggiori dettagli sull’idea nel post dedicato.

Perché la scelta di affidare a un distopico tematiche così attuali e reali?

Credo che la fantascienza, la distopia in particolare, si presti bene a indagare l’attualità e le sue dinamiche. Non solo per immaginare come potrebbe essere il futuro se le cose si mettessero male, ma anche per mostrare ciò che già c’è, anche se magari non proprio sotto casa. Situazioni che potrebbero essere la nostra attualità, se alla nascita fossimo stati meno fortunati.

Quali sono i punti forti del tuo libro?

Il mio essere ipercritica e timida fa a pugni con questo genere di domande, quindi dirò ciò che hanno amato i lettori: le tematiche importanti trattate in modo da non risultare pesanti, i personaggi che ti fanno sentire parte della squadra e le scene d’azione “cinematografiche”.

Quale genere ami leggere e quale invece non sopporti?

Sono una lettrice onnivora. Amo la fantascienza e la distopia (quando hanno un po’ di “movimento”), ma in realtà leggo quasi tutto. Tendo a evitare il romance, soprattutto quando sfocia nell’erotico. E l’horror di solito mi annoia.

Da cosa trai ispirazione per le tue storie?

Un po’ da tutto, in realtà. Notizie che sento (ascolto spesso podcast) o leggo, film, scene a cui assisto… a volte perfino sogni. L’idea per una delle mie storie è nata da un videogioco.
Qualsiasi cosa può donare i frammenti, anche minuscoli, che poi andranno a comporre una storia.

Come ti è venuto in mente Onda Ribelle?

Sono passati moltissimi anni da quando ho scritto la prima bozza e la cosa buffa è che non avevo mai letto un distopico prima di quel momento. L’idea della ribellione a una dittatura è nata da Star Wars, di cui sono sempre stata grande fan. Ho capito solo anni dopo, quando l’ho ripreso in mano per riscriverlo, che rientrava nel genere distopico.

Per la scrittura, ti isoli o riesci a scrivere anche nel tram?

Anche se mi piacerebbe, non ho un mio posto in cui scrivere. Però sono cresciuta in una famiglia numerosa e sono sempre stata abituata alla confusione. Ho scritto e scrivo ovunque: in auto, in spiaggia, nel bus, al parco… c’è stato un periodo in cui scrivevo al bar dove facevo colazione in attesa che aprisse la libreria in cui lavoravo (ah, se qualcuno avesse dubbi, non è romantico come potrebbe sembrare: la gente mi guardava come se fossi un alieno).

Qual è il luogo in cui hai il massimo dell’ispirazione?

Si tende a pensare all’ispirazione come a qualcosa di magico, una specie di illuminazione che piove dall’alto e sconvolge ogni cosa. La realtà è molto diversa (almeno per me): si tratta di piccoli spunti che possono arrivare in qualsiasi momento e luogo. Poi è soprattutto lavoro di selezione e costruzione della trama.

Chi è la tua fonte d’ispirazione?

Non è una persona. Mi ispirano soprattutto le storie che ascolto, quelle che riescono ancora a sorprendermi. Un podcast super interessante, ad esempio, è “Stories” di Cecilia Sala, che ogni giorno approfondisce qualche storia dal mondo. Da lì, ad esempio, è nato il primo abbozzo di idea per una storia che attualmente è in beta-lettura.

Ti ispiri a un autore in particolare, per stile narrativo o argomento?

Non saprei fare alcun nome, anche se ho degli autori preferiti. Ammiro la capacità di costruire meccanismi precisi di Agatha Christie, ho amato la saga di Harry Potter per il worldbuilding pazzesco, adoro l’ironia di Jane Austen e le tematiche di Hunger Games.
Per quanto riguarda lo stile mi sto accostando alla narrativa trasparente (che cerca di immergere il più possibile il lettore nel protagonista), ma anche qui non ho nomi di autori da fare: studio da manuali e corsi, anche se sono sempre felice di leggere libri che si avvicinano a questo stile.

Quale autore ti ha ispirata?

Quando ho cominciato a scrivere (o meglio, scribacchiare) avevo nove anni ed ero davvero troppo piccola per ispirarmi a qualcuno. Avevo sempre un libro in mano, leggevo ovunque. Il desiderio di guardare cosa stava “dall’altra parte” è nato con molta naturalezza.

Il libro di Eva, Onda ribelle, è disponibile su Amazon.

Multi-intervista a Friedrich Ziege

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Perché Inverno? Ci sono altri capitoli della saga in stesura?

Inverno è un alter ego, proprio come Friedrich Ziege. È nato come archivio di quei ricordi e sensazioni necessari a scrivere la storia del romanzo. Inoltre foneticamente e cromaticamente sta bene con Viola. E poi sono nato a Gennaio e odio l’estate. Sono previsti altri due volumi, con il secondo sono già parecchio avanti. Tuttavia, non escludo che possa diventare una tetralogia. Viola e Inverno sono solo i protagonisti di una delle storie del mondo di Grah, sicuramente ne verranno raccontate altre.

È un libro autopubblicato? Hai provato con gli editori? Cosa pensi dell’editoria italiana?

Sì, è un’ autopubblicazione. Ho optato direttamente per questa forma di editoria, senza tentare quella tradizionale. Però non escludo di inviarlo a qualche CE, magari più avanti, quando mi renderò conto di non farcela da solo. Non ho molto in simpatia i grandi nomi, preferisco le piccole CE che con tutti i loro limiti e difficoltà riescono a presentare titoli e autori interessanti.

Quali sono le tue letture preferite?

Non ho letture che prediligo rispetto ad altre, vado molto a sensazione: ora sto leggendo un fantasy, un biografico e saggi di cinema, per esempio. Sono principalmente attratto da titoli Thriller e Gialli.

Quanto tempo dedichi alla scrittura?

Sono incostante e pigro, non molto quindi. Dedico più tempo alla creazione che all’atto in sé. Fosse per me utilizzerei sempre la scrittura vocale o qualcuno sottopagato per farlo.

Ho sentito che alcuni scrittori cominciano dal finale, tu come inizi?

Solitamente parto da un concetto: cosa voglio raccontare? Viola e Inverno è iniziato da un personaggio, poi dalla storia abbozzata. Però ho iniziato a scriverlo seriamente solo dopo aver visualizzato il finale. Prima conoscevo la partenza e i viaggiatori, ma non la meta.

Quando scrivi, hai già in mente tutta la trama o via via si sviluppa?

Ho già in mente tutto. La trama è qui da anni, nella mia testa. Avrei già terminato se non fossi tanto pigro e prima di scrivere non passassi giorni e giorni a far quadrare ogni cosa.

Chi è il tuo scrittore preferito?

Senza dubbio Edgar Allan Poe, ma moralmente devo citare anche Tolkien da cui ho preso esempio per creare il mondo.

Da chi ti sei ispirato per scrivere il libro?

Non credo di avere avuto una vera e propria ispirazione. Però c’è stata una musa. Il resto è tutto costruito a tavolino, prendendo più esempio che ispirazione da altri autori, dalla storia e dalla natura del nostro mondo.

Come mai ha deciso di scrivere un fantasy? È stato difficile trasferire sul foglio la storia che avevi immaginato?

Se devo essere onesto, non ho deciso di scrivere un fantasy: la storia che leggerete si è adattata meglio a questo genere rispetto ad altri. La parte difficile non è stata tanto scriverla (nonostante la pigrizia), quanto creare l’intero mondo con la sua natura, la sua storia, i popoli e i loro usi. Il worldbuilding è una fase estremamente impegnativa.

Quali sono i pro e i contro del self publishing e perché l’hai scelto?

Ho scelto la pubblicazione in self per essere libero in ogni aspetto e per meri motivi economici. Tra i pro annovero il contatto diretto con i lettori, le piccole e sudatissime soddisfazioni e poco altro. È uno strumento potente, ma come ogni strumento si è avvantaggiati se si possiedono risorse economiche, mezzi e abilità – e anche la personalità – adatte a svolgere il lavoro. Insomma, servono un sacco di soldi!

Chi ha disegnato la cover?

La copertina, di cui vado estremamente fiero, è opera di due persone: l’illustrazione è di Giuseppe Emanuele Scalisi che potete trovare su Instagram come @shin_oppa_94. Le grafiche sono invece affidate a Scarlet Danae (@lorelei.vs.scarlet) amica e autrice di L’incubo di Biancaneve e il nuovo Una ballata di pistole e creature.

Quali ritieni debbano essere gli elementi che non possono mancare in un romanzo fantasy?

Sicuramente la magia o il controllo su una qualche forma di energia sovrumana. Un bel mondo secondario per me è importantissimo, così come la storia della civiltà di cui fanno parte i protagonisti. Avventura, esplorazione, battaglie e creature fantastiche. Il manifestarsi o anche solo l’aleggiare di una grave minaccia. Infine direi che non debba mancare una morale. Il fantasy è un genere che offre l’opportunità di parlare di temi anche molto importanti.

Il primo volume della saga Le cronache di Shahar, intitolato Viola e Inverno: i santuari, è disponibile su Amazon.

Multi-intervista a Maria Dolores Secco

La multi-intervista è un’idea nata su Instagram e si differenzia dall’intervista classica perché le domande arrivano da più persone (altri autori, lettori, semplici curiosi, ecc.). Maggiori dettagli sull’idea nel post dedicato.

L’argomento che tratti nel tuo libro è molto forte, ho letto che le storie narrate si ispirano a storie vere. Come ti sei preparata a poter affrontare e scrivere nel modo migliore di un vissuto così importante?

È stato difficile riuscire a staccare emotivamente dalle storie delle otto donne che ho intervistato, ma proprio perché io per prima sono stata una vittima (racconto il mio vissuto nella mia autobiografia La Leggenda dei 40 giorni) ho cercato di essere delicata nell’ esporre i fatti.
Non serve esser violenti per descrivere la brutalità della violenza.
In più non volevo mettere a disagio le mie intervistate quando avrebbero letto il libro, ho voluto avere massimo rispetto dei loro vissuti.

Hai tratto ispirazione da storie vere o hai avuto la possibilità anche di confrontarti con queste donne?

Sono tutte donne che ho conosciuto personalmente e con cui ho un legame.

Un progetto molto serio… Che tipo di preparazione e ricerca hai svolto?

9 Volte Me nasceva inizialmente come ELOGIO alle donne, man mano che intervistavo ho trovato un punto in comune con tutte le mie interlocutrici, la violenza. È stato spontaneo trasformarlo in un libro di denuncia. Tratto vari tipi di violenza, anche quelli “socialmente accettati”. Ovviamente c’è stato anche uno studio approfondito sulle varie tipologie di violenze, ho letto molti libri che ho citato all’interno del romanzo.

Com’è nata la tua passione?

Ho scritto il mio primo romanzo (inedito) a sedici anni. Credo sia stata la necessità di far sentire la mia voce a farmi avvicinare alla scrittura. Inoltre trovo che carta e penna abbiamo degli enormi poteri curativi per l’anima.

Ti sei documentata sulle varie tipologie di perdita di memoria a seguito di traumi? Mi affascina…

Certamente! Ho letto vari studi al riguardo, e non è stato semplice spiegare il fenomeno all’interno del libro.

Perché proprio il numero nove?

Il numero 9 rappresenta la completezza, e racchiude la forza di tutti i numeri che lo precedono. Inoltre è l’ultimo numero con una sola cifra. Per me è quasi un ossimoro.
Chi subisce violenza si sente solo (cosa che sottolineo spesso nel libro), un po’ come un numero ad una sola cifra; eppure nel gruppo di sostegno le nove donne si supportano molto, si uniscono nel dolore, diventano sorelle e la somma della loro forza le aiuta ad acquisire consapevolezza.

Nelle tue storie tratti temi importanti. Quali domande ricevi più di frequente sui tuoi libri?

Mi chiedono del perché ho iniziato questo percorso. Sono vittima di abusi e violenza assistita, e avrei voluto che mia madre si sentisse meno sola, avrei voluto fosse più serena. Forse avrei voluto anche più comprensione da chi avevo attorno, e invece siamo stati ghettizzati. E per poter arrivare ad avere una società più preparata e sensibile su questi temi (non solo il 25 Novembre), serve parlarne.
Ho deciso di farlo io, di esser la persona di cui avevo bisogno nella mia infanzia.
In più ho avuto modo di parlare di parità e di violenza nelle scuole, le domande sono state svariate, molte sul mio vissuto, ma alla fine tutte portavano alla consapevolezza di cosa sia la violenza e come prevenire dinamiche di sopraffazione.

Vi ricordo che comprando questo libro sosterrete l’associazione Libera di Vivere.

Il libro è disponibile su Amazon.

Multi-intervista a Lorenzo Zucchi

La multi-intervista è un’idea nata su Instagram e si differenzia dall’intervista classica perché le domande arrivano da più persone (altri autori, lettori, semplici curiosi, ecc.). Maggiori dettagli sull’idea nel post dedicato.

Il legame uomo/natura è qualcosa che sostengo e condivido e dalle tue foto è evidente il fatto che tu non sia germofobico. Ma se i tuoi piedi potessero parlare, non pensi che ti chiederebbero almeno un paio di calzini? Magari per la città?

Hai ragione, sottovaluto i germi. Ma mi illudo che il contatto quotidiano dei miei piedi coi batteri mi dia qualcosa in termini di difese immunitarie. Comunque ogni volta che rientro a casa lavo i piedi con cura! Grazie

Hai viaggiato tanto anche in Italia? Se si, pensi di realizzare un libro che parli di questo? Noi italiani guardiamo più all’estero che a casa nostra, ma sarebbe bello avere un romanzo-guida che ci aiuti a riscoprire le bellezze del nostro Belpaese.

Conosco molto bene anche l’Italia, l’ho girata tutta. Nel mio prossimo libro in uscita a gennaio sarà il paese più rappresentato nei racconti. Un volume solo per l’Italia purtroppo non mi è possibile: le mie esperienze di viaggio sono tante e le devo per forza condensare o mi sarebbero usciti almeno 10 libri al posto di 3. Ma in futuro non si sa mai… grazie.

Un viaggio che ancora non hai fatto e che stai progettando? C’è un Paese visitato che è stato per te un’esperienza diversa da ciò che ti aspettavi, in positivo o in negativo?

Sto progettando il Kenya (e tanti altri a seguire). Paesi che mi hanno deluso non ce ne sono stati, quelli andati oltre le aspettative tanti: Perù, Nuova Zelanda, Sri Lanka, Singapore, Giappone… grazie.

Qual è la prima sensazione che ti comunicano i piedi all’inizio di un viaggio?

All’inizio c’è sempre quella tensione piacevole del dover raggiungere la destinazione. Poi piano piano subentra la frenesia del voler vedere tutto, alternata al relax delle calme ore serali. Le varie superfici sono una grande ricchezza, anche se i miei piedi preferiscono l’asfalto! Grazie.

Con quale atteggiamento si dovrebbe leggere il libro?

Bella domanda. È un libro che alcuni trovano difficile perché ricco di riferimenti culturali ai paesi visitati e di riferimenti personali da autobiografia. Ma se si legge in maniera leggera, solo per farsi trasportare dalle tantissime immagini presenti, senza per forza dover capire ogni singola frase, allora diventa un bello spunto per innamorarsi dei viaggi e del nostro pianeta. Grazie.

Qual è, secondo te, il peggior difetto di uno scrittore?

Non farmi sbilanciare contro i miei colleghi affermati! Per me il peggior difetto di uno scrittore è la ripetizione. Una volta trovata la formula di successo, la ripetono all’infinito solo per vendere. Ma la letteratura ha bisogno che chiunque di noi sperimenti, per crescere. Grazie!

Descriviti con tre aggettivi

Fuori dagli schemi (da tutti gli schemi)
Prolifico
Curioso di sapere
Grazie

Viaggiare quanto è importante per uno scrittore nell’ ideare le proprie storie?

Splendida domanda. Al momento sto pubblicando i miei racconti di viaggio ma ho già iniziato a scrivere romanzi. E mi sono ‘portato dietro’ l’amore per le ambientazioni. Per me un libro nasce dopo un viaggio, che sia a varie ore di volo o a mezz’ora da casa. Viaggiare per me è l’ispirazione primaria per scrivere, e non solo di viaggi. Grazie.

Sei un viaggiatore che scrive ma non scrivi guide di viaggio, giusto? Dicci di più!

Esatto, le mie non sono guide di viaggio: primo perché per quello ci sono i blogger e io non sono nessuno, secondo perché altrimenti i libri ‘invecchierebbero’ subito. Essendo invece racconti di viaggio di un periodo di vent’anni o più, rimane attuale la descrizione dei paesi in quel periodo storico, oltre che la descrizione delle principali attrattive che comunque non manca mai nel libro. Sono diari di viaggio originali, qualcuno li ha descritti come ‘mai letti prima’. Grazie

Perché scalzo?

In un viaggio in Messico il cui racconto compare nel libro Bandiere per Tutti, viene spiegato il perché: vedendo tanta gente camminare scalza per strada (per scelta, non parliamo di indigenti) ho voluto provare e mi è piaciuto davvero troppo. Ora lo faccio sempre, è una grandissima sensazione di libertà. So che non piacerò a tutti, ma almeno sono me stesso ed è qualcosa. Grazie.

Multi-intervista a Maria Luisa Duma

La multi-intervista è un’idea nata su Instagram e si differenzia dall’intervista classica perché le domande arrivano da più persone (altri autori, lettori, semplici curiosi, ecc.). Maggiori dettagli sull’idea nel post dedicato.

Nel tuo romanzo il passato ha un ruolo fondamentale. Il passato è “una porzione di tempo che non è più“. La parola passato quale sensazione ti fa venire in mente?

Quando penso al passato provo nostalgia per tutto quello che non tornerà più. Sento però anche la speranza di poter rivivere le emozioni più belle che luoghi e persone mi hanno regalato. Il passato ci segna sempre, in un modo o nell’altro. Quello che siamo e che riceviamo è il risultato di ciò che è accaduto sia nel nostro passato che in quello degli altri.

Quando hai capito che scrivere avrebbe avuto un posto importante nella tua vita e a quali autori ti sei ispirata? Ce n’è uno/a che senti particolarmente affine al tuo modo di scrivere?

Sogno di essere una scrittrice da quando ero bambina. Nello scrivere questo libro, ho superato alti e bassi. Momenti in cui mi sentivo sicura di ciò che stavo facendo, altri di scoraggiamento. Non ho mai fatto leggere a nessuno quel che stavo scrivendo perché nessuno intorno a me si dimostrava interessato. Quando ho inviato il manoscritto alla PubMe, Rosa Caruso, la direttrice della collana “Belle Èpoque” che mi ha pubblicato, ha detto che lo trovava “Ben scritto”, “Originale” ed “Elegante”.
Ne sono stata felicissima e sarò per sempre grata sia a lei sia a Maria Grazia Porceddu, anche lei direttrice della stessa collana, perché con il loro sostegno mi hanno fatto comprendere che non devo abbandonare questa strada. Non mi ispira un autore in particolare. Mi piace leggere vari autori e traggo spunto dai vari stili. Ogni autore è speciale a modo suo.

Da dove prendi ispirazione per le storie che scrivi?

Tutto ciò che mi circonda è fonte di ispirazione. Mi piace raccontare le debolezze e le paure umane, per dare comunque, alla fine di ogni storia, un messaggio di positività. Osservo soprattutto la personalità di chi incontro per la caratterizzazione dei personaggi. A volte mi capita di ricevere l’ispirazione nei miei sogni o da voci presenti nei momenti di dormiveglia.

Cosa ti porta a scrivere?

Scrivere è il mio modo per esprimere tutto ciò che mi appassiona, mi emoziona. Sapere che qualcuno legge e apprezza le mie parole è un’ esperienza stupenda. È il rifugio che mi fa sentire viva e parte del mondo. Quando mi viene in mente una storia che merita di essere raccontata, mi metto subito a prendere appunti. Mi piace l’idea di condividere la mia immaginazione.

Mi dà l’idea di un diario, ne hai mai avuto uno?

Avevo un diario quando ero piccola, poi ne ho interrotto la scrittura. Quando ho ricominciato a scriverne uno nuovo qualche anno fa, mi è successa una cosa dalla quale ho preso spunto per il mio libro. Ma non dico cosa per non svelare ciò che accade alle protagoniste.

È un romanzo per ragazzi?

È un romanzo rivolto a tutti. Sia i più giovani sia i più adulti, possono ritrovarsi in svariati momenti della narrazione, alcuni spensierati altri più intensi.

Adoro le storie con diari che rivelano vicende passate. Mi dici un po’ di più della trama?

La storia è raccontata dalle protagoniste, Fabiola e Melissa, attraverso le pagine di un diario, ritrovato in una villa abbandonata. La loro sfida consiste nello scrivere sullo stesso diario senza leggere ciò che l’altra scrive. Presto, verrà fuori una verità a lungo nascosta, che metterà in crisi la loro amicizia. Inoltre, il diario nasconde un passato pronto a riemergere con antiche ombre e strane presenze. Fabiola e Melissa riusciranno a recuperare la loro amicizia e a vincere la vera sfida in cui saranno coinvolte?

C’è qualcosa di autobiografico?

Le protagoniste hanno lati caratteriali contrapposti, una più insicura l’altra più determinata e rappresentano come sono e come vorrei essere. L’ idea che entrambe scrivano sullo stesso diario mi è venuta per un episodio legato al passato, quando due mie amiche tenevano insieme un diario… Ricordo di essere stata gelosa di questa cosa che riguardava soltanto loro due.

Una piccola anteprima di quello che stai scrivendo ora?

La nuova storia che sto scrivendo racconta di una giovane donna che si ritrova a vivere un periodo molto buio della sua vita. La verità su ciò che è accaduto e che l’ha portata ad una forte depressione, verrà fuori man mano. La sua famiglia e suo marito, si impegneranno ad aiutarla ad uscirne fuori. Ci sarà però una rivelazione finale che stravolgerà tutto.

Il romanzo di Maria Luisa si intitola Pagine dal passato ed è disponibile su Amazon.

Multi-intervista a Fabio Valerio

La multi-intervista è un’idea nata su Instagram e si differenzia dall’intervista classica perché le domande arrivano da più persone (altri autori, lettori, semplici curiosi, ecc.). Maggiori dettagli sull’idea nel post dedicato.

Tre libri, tre generi diversi. In quale dei tre ti sei trovato più a tuo agio? Hai intenzione di esplorarne altri?

Sicuramente non nel primo. Il primo è uno pseudo saggio sociale/morale che mi ha impegnato tantissimo per scriverlo. Ho studiato, letto, ragionato, pensato, cancellato, tolto, aggiunto…
Il secondo è stato semplicissimo. In pochi giorni era completo.
Il terzo l’ho scritto senza consapevolezza. Avevo voglia di scrivere e mi sono messo al pc, dopo un paio di mesi ho terminato una storia che ora non saprei sicuramente riprodurre. Mi è piaciuto molto scoprire man mano l’evolversi del racconto, senza averlo ragionato a priori.
Sì, sto lavorando a tre idee completamente diverse tra loro e diverse anche dai precedenti scritti.

Cosa ti spinge a scrivere?

La curiosità. Io sono convinto di quanto diceva Cartesio, cioè che in un qualche posto all’interno di noi ci sono già le nozioni e le verità di cui abbiamo bisogno, necessitiamo solo di trovare il metodo per farle uscire fuori. Scrivere è il mio modo per poter lasciare andare l’intuitività.

Stando a ciò che scrivi sui social, la scrittura per te è divertimento. Ma è vero?

Mi diverte molto, sì. E mi diverte sorprendermi e lasciare andare la penna. Mi diverte anche usare un po’ di ironia, soprattutto nei pensieri brevi.

Che peso dai alla “lentezza”, non solo nel libro, ma nella vita.

Vivo a Roma, una città caotica e stressante. Odio questo stile di vita e amerei vivere in un ambiente più a portata di umano, più “lento”. Mi piacerebbe poter osservare il mare e sedermi su una panchina, mentre vado a comprare il pane.

Credi nel destino?

Credo al destino come l’insieme delle scelte applicate durante l’arco dell’esistenza di ognuno, considerando anche il prima e il dopo la permanenza qui. Il discorso è complesso e forse ancora in fase di ricerca, ma in sintesi credo si venga qui per un motivo ben preciso, si fanno tante scelte “liberamente” e poi si tirano le somme. Dopodiché ci si riprova, si ricomincia.

Fonti d’ispirazioni e luogo preferito dove scrivere.

L’ispirazione può venire da qualsiasi oggetto o esperienza, però vado molto a ripescare nel vissuto, nel passato. Luogo obbligato è il mio micro studio di 1mq.

La storia ha riferimenti personali?

Tutto quello che scrivo sono io. Che sia una storia inventata o meno, sono ovunque, nei miei scritti.

Qual è l’incipit più bello che hai scritto, quello che ancora ti citi in testa, soddisfatto?

Credo di non aver sbagliato l’incipit di “Un giorno lento“, mi reputo sufficientemente soddisfatto, ma anche se così non fosse, avrei comunque lasciato all’intuizione di decidere come partire. Sono curioso di vedere negli altri, come affronterò le aperture.

Quanto è importante la riflessione per la mente? Cos’è per te la riflessione?

Non sono un amante delle riflessioni, nonostante sembri un riflessivo, visto da fuori.
Faccio finta di esserlo e poi vado a istinto. Spesso ragiono molto dopo il compiuto e mi dico che ho fatto bene a fidarmi. Quando non ci prendo, alzo le spalle e riprovo.

Fabio ha al suo attivo tre libri, disponibili su Amazon:
– Un giorno lento
– Cosa ho imparato durante (e grazie) il Coronavirus
– Nuovo libretto delle arti magiche vol. 1

Multi-intervista a Alessia Poliandri

La multi-intervista è un’idea nata su Instagram e si differenzia dall’intervista classica perché le domande arrivano da più persone (altri autori, lettori, semplici curiosi, ecc.). Maggiori dettagli sull’idea nel post dedicato.

Molto particolare la scelta di ambientare il romanzo in un autogrill. Da dove arriva l’ispirazione? E perché proprio la scelta di una pantera come animale? Ha un significato preciso o simbolico?

L’ispirazione è arrivata una notte di capodanno quando, tornando da una serata lavorativa al piano bar, ho fatto sosta in autogrill. C’era un uomo anziano, completamente solo, ad un tavolo. Mi sono domandata per tutto il tempo perché fosse lì, temevo non avesse nessuno con cui condividere quella notte di festa. Poi è passata una delle ragazze che erano lì a lavorare e gli ha detto: “Vai a casa papà! Stai tranquillo, non mi succede niente!”. Quella scena di amore paterno mi ha colpita profondamente. Ho capito che in quel posto che per tutti è solo di passaggio, si può incontrare tanta bellissima esistenza. Basta saper osservare.
La pantera era la scelta più ovvia. Nera come la notte, maestosa, affascinante e spaventosa. Se ha un significato? Decisamente, ma dovrete scoprirlo voi!

Non conoscevo il tuo romanzo, ho letto la sinossi e sinceramente non mi ha incuriosito… Di contro, ho letto recensioni solo positive, in alcune si affianca al genere thriller, in altre al romanzo psicologico, in altre ancora si suggerisce di farlo leggere agli studenti. Cosa mi diresti di più e come lo descriveresti per invogliarmi a leggerlo?

Descriverei questa storia come un viaggio. Ci porta nelle vite di vari personaggi. Storie comuni, vicine a noi, magari, che possono farci sentire meno soli, meno incompresi. Inoltre non mancano scene più leggere e divertenti… anche grazie al contributo del gatto rosso che vive in autogrill!

Qual è il racconto, in 7 Vite, a cui sei particolarmente legata?

7VITE, il mio primo libro, è più “a colori”. Le sue storie sono variegate. Sono indecisa tra il racconto che ha per protagonista il fantasma Francis e quella di Luna che desidera incontrare le megattere (sogno che mi appartiene da sempre).

Tematica importante, quella del suicidio, come sei riuscita a scriverne? Preparazione e info.

Ho iniziato a scrivere di Filippo quasi con distacco. Non era facile empatizzare con un suicida, ma a mano a mano ho scoperto il mio pregiudizio, la mia chiusura e mancata comprensione. Così mi sono aperta, ho cercato di comprenderlo appoggiandomi al metodo Stanislavskij che avevo scandagliato nei miei studi di doppiaggio. Ho cercato si “sentire” come lui ed ho compreso quanta solitudine e silenzio ci sia attorno al tema del suicidio ancora troppo tabù. La nostra attenzione ed il nostro ascolto potrebbe fare la differenza. A fine della stesura ho ringraziato Filippo al quale adesso voglio un gran bene perché mi ha insegnato a guardare oltre la maschera.

Da cosa prendi spunto per le tue storie? Quanto c’è di reale e quanto di fantasia?

La lampadina mi si è accesa spesso con piccole cose viste nel quotidiano. Le mie storie sono spessissimo fantasia pura. Adoro inventare avventure e situazioni, ma ovviamente hanno qualcosa di me, mi assomigliano in un certo senso!

Ho letto la tua biografia. Fai tante cose: quale ti appassiona di più?

Scrivere e cantare sono le attività che mi permettono di esprimermi con maggiore libertà, ma devo un enorme grazie al disegno! Quando ero bambina e ho perso mio padre, disegnare è stato un modo per non perdere contatto con l’infanzia e con la capacità di sognare. Disegno tutt’oggi e anche le copertine dei miei romanzi sono farina del mio sacco!

Il tuo romanzo ha una trama originale. È ispirata a qualche elemento reale?

Ci sono tanti casi di animali fuggiti da circhi o zoo. Storie che incuriosiscono e spaventano allo stesso tempo. L’idea della fuga per la libertà è affascinante, ma fa riflettere. Nessuno ama le gabbie e spero che gli esseri umani si portino sempre di più verso una salvaguardia che non preveda sbarre, ma tutela… per tutti, uomini e animali.

Perché hai scelto proprio l’autogrill come teatro della vicenda?

L’autogrill è perfetto. È un palcoscenico! Un luogo unico dove far muovere tutti i personaggi come attori. Bagno e cucina a mo’ di quinte dove nasconderli e l’esterno a far da pubblico, attraverso i vetri.
Mi è sembrato la scelta ideale per il tipo di storia e di messaggio che volevo trasmettere.

Quanto credi che il caso possa favorire l’empatia?

Molto! In determinate situazioni ci scopriamo più forti o sensibili di quanto crediamo, quindi perché non provare a dare e ricevere stimoli positivo? Parlare con uno sconosciuto può risultare più facile che con un parente o un amico e delle volte può cambiare o cambiarci la giornata. Ogni occasione può diventare un viaggio… anche semplicemente dentro noi stessi.

Alessia ha pubblicato due romanzi:
– 7 vite, disponibile su Amazon,
– Oasi autogrill, disponibile sul sito dell’editore Masciulli.

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