Intervista a Nadia Rizzo

Nadia Rizzo


Buonasera, con questa intervista voglio presentarvi Nadia, una persona particolare e ricca di interessi, autrice della graphic novel Tra sogno e realtà, che trovate su Amazon.

Il tuo libro, una graphic novel illustrata da V. Villa, ha un titolo evocativo, Tra sogno e realtà. Ti va di dirci com’è nato e presentarcelo in breve?

Il titolo della graphic novel nasce da sogni di quando ero una ragazzina di circa dieci o undici anni. Quando di notte sognavo e me ne ricordavo, poi ci ritrovavano con gli amici nell mia cameretta e raccontavo il sogno    come se stessi raccontando una storia, una fiaba, un film horror; dipendeva dal sogno. Da qui l’idea del titolo Tra sogno e realtà.
Ho iniziato a leggere da piccola e ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto che  qualcuno leggesse qualcosa scritta da me, come mi sarei sentita? Col passare del tempo questa idea prese forma, decisi di realizzare il mio sogno e che le prime a leggere il libro sarebbero state le mie figlie. Il loro parere sarebbe stato il trampolino di lancio o la rinuncia… e così iniziai a scrivere.

So che stai già lavorando a un altro libro. Quando uscirà? Puoi anticiparci qualcosa?

Si, ho già terminato altri racconti, altri sogni, altri spaccati di vita e Valentina Villa sta ultimando i disegni. C’è anche un romanzo con un altro scrittore.
La graphic novel uscirà presto e la condividerò con voi; il romanzo è un po più in là nel tempo. Poco più in là.

Le tue storie hanno un’origine particolare, i tuoi sogni. Ti va di raccontarci come passi dal sogno al racconto? Qual è la tua routine creativa? Li trascrivi appena sveglia e poi li rielabori, oppure…?

Si, alcuni dei miei racconti sono sogni, altri storie vere. La creatività è costruzione del sogno in racconto e avviene nell’arco della giornata. Inizio prima con le sensazioni positive o negative, poi col passare delle ore, con veri e propri flashback che, collegati come un puzzle, ricostruiscono il sogno completo. A volte l’ambientazione è già nel sogno, a volte in base alla trama la costruisco io. Ci sono poi i sogni premonitori, quelli che annunciano vividamente un evento, lì l’ambientazione c’è già.
In Tra sogno e realtà il racconto La Stella Tuareg è un sogno premonitore. I racconti tratti da storie vere a volte sono ambientati nel luogo reale, altri in ambientazioni diverse.

Cosa speri di trasmettere con le tue storie? Quale messaggio?

Beh, nei miei racconti c’è sempre una piccola sottotraccia psicologica e riflessiva. Vorrei trasmettere l’idea di sognare con me, di viaggiare con la fantasia in mondi alternativi o paralleli.

Quali altre passioni hai, a parte la scrittura? Come ami trascorrere il tuo tempo libero?

Ho molte passioni, in primis leggere, poi adoro il cinema, le serie tv in particolare turche e coreane, amo dipingere, fotografare, viaggiare e leggere i tarocchi. E sono una studiosa del paranormale.

C’è un desiderio che vorresti veder realizzato subito?

A parte perdere peso senza far fatica?
Si, vorrei girare il mondo su una nave da crociera per tre mesi e scrivere un libro che parla di ogni tappa e, perchè no, di sogni con fotografie dei luoghi scattate da me.

Intervista a Luisa Di Maso

Luisa Di Maso


Buongiorno, oggi pubblico l’intervista a una persona che apprezzo molto, un’amica e un’artista poliedrica, Luisa Di Maso.

Impegnata in diverse attività, non solo artistiche, è una donna colta, gentile e attenta, capace di cogliere le più piccole sfumature di libri e persone.

I suoi libri sono disponibili su Amazon.

Ciao Luisa, tu scrivi romanzi e testi per il teatro, sei regista teatrale, logopedista e altro ancora! Se ti chiedessi “Chi è Luisa?“, cosa mi risponderesti?

Una sognatrice, una donna che fa di ogni accadimento un’occasione di crescita. Imprevedibile ma anche cauta, una mente sempre in fermento; caparbia ma per fortuna non cocciuta (almeno credo).

Poco più che d’estate è il tuo ultimo romanzo, una storia che ho apprezzato molto. Vuoi presentarlo con parole tue?

Nel mio romanzo narro di Luca, un quattordicenne che si sente adulto ma che tutti considerano ancora un bambino (tutti tranne l’amatissimo nonno), alle prese con i primi turbamenti amorosi e un segreto di famiglia da svelare. Un romanzo dal linguaggio semplice, d’effetto, ambientato nella splendida isola di Ventotene.

Il romanzo è uscito nel 2020, c’è in vista qualche nuova pubblicazione? Puoi anticiparci qualcosa?

Un nuovo romanzo, ci lavoro da tre anni, del quale svelo solo che è ambientato a Viterbo e niente più, per un semplice motivo, in corso d’opera sarei capace anche di ribaltare la trama rendendola totalmente diversa da quella che è.

In ambito teatrale, invece, a che cosa ti stai dedicando? Dove e quando si terranno i tuoi prossimi spettacoli?

Il teatro procede a ritmi serrati. Porterò in scena, a dicembre, una mia commedia: “Camera con svista” rappresentata anni fa, rivisitata e con un cast nuovo. Saremo in cartellone in ben due teatri di Roma, poi, si spera, in tour. Una commedia alla quale sono molto affezionata, perché è stato il mio primo lavoro da autrice e regista, sul tema del pregiudizio del perbenista che si mostra democratico e tollerante fino a quando certe situazioni imprevedibili non vengono a far crollare il muro di facciata.

C’è una di queste attività che ti dà più soddisfazione, nella quale riesci a esprimere te stessa più che con le altre?

Mi piace tutto quello che faccio e non rinuncerei a nulla delle cose che mi danno, in modo diverso, possibilità di esprimermi.

Se potessi veder realizzato un tuo desiderio adesso, quale sarebbe?

Sarò scontata, o forse idealista, ma vorrei un mondo più equo, più giusto.

Tra le mille attività che fai, riesci a ritagliare del tempo libero da dedicare solo a te stessa? Come ti piace impiegarlo?

Facendo giardinaggio (ci provo), andando a teatro da spettatrice e leggendo, leggendo, leggendo e poi leggendo!

Intervista a Jacopo Stante

Intervista a Jacopo Stante

Dopo aver letto il libro Eleutheria, mi è venuta voglia di conoscere meglio l’autore; è nata così questa intervista, che dimostra senza ombra di dubbio come Jacopo ami parlare di ciò che riguarda il nostro pianeta, ma molto meno di se stesso. Anche la scelta di non mostrarsi è sua. Tutti i suoi libri sono disponibili su Amazon.

Eleutheria è un libro che costringe il lettore a riflettere su ciò che stiamo facendo alla Terra. Com’è nato?

Eleutheria è nato da un grido di tutte quelle città che oggi rischiano di essere sommerse a causa dell’innalzamento delle acque. Eleutheria è nato dall’esigenza di creare in noi adulti una coscienza nei confronti delle generazioni future e di fare il possibile per lasciare loro un mondo migliore. Le scelte politiche e socio economiche di oggi, se non attente all’ambiente, rischiano di creare un pianeta invivibile per le generazioni future.

Ti va di spiegare a chi non l’ha ancora letto il perché del sottotitolo, Madre, non ti riconosco?

Certo! Madre in Eleutheria rappresenta la madre di Sveva così come la Madre Terra. In entrambi i casi c’è un rapporto conflittuale tra la figlia e la madre e tra noi umani e la Terra. Sveva non riconosce la madre nel suo egocentrismo e noi umani con il nostro egocentrismo, non riconosciamo la madre terra per quello che ci potrebbe dare se la accogliessimo, la ascoltassimo, la amassimo.

Posso confessarti che Sveva mi ha fatto pensare a Greta Thunberg? È solo un mio pensiero o ti ha in qualche modo ispirato?

Per fortuna ci sono tante Greta al mondo. Per fortuna ci sono tante persone che credono che delle soluzioni al cambiamento climatico ci siano, ma la loro riuscita dipende dal creare una coscienza collettiva attenta e altruista,  principalmente di affidare la cosa pubblica a governanti che abbiano a cuore la difesa del rapporto uomo natura. 

Cosa fai, nella vita di tutti i giorni, a difesa del pianeta?

Lavoro in ambito di progetti di adattamento al cambamento climatico.

Ti piacerebbe di più vedere la tua storia trasformata in un film o in uno spettacolo teatrale?

Certo che mi piacerebbe! Sarebbe bellissimo!

Quali altri progetti hai in corso al momento?

Sto scrivendo un altro libro sulla libertà.

Intervista a Federico Berlioz

Federico Berlioz

Ciao Federico, i tuoi libri sono ispirati a vicende reali, di cui sei stato protagonista. Ti va di raccontarci qualcosa di più su di te?

Nel mio mondo letterario, la realtà si
intreccia con la finzione in modi che
potrebbero sorprendere anche i più
scettici. Dietro ogni pagina dei miei
romanzi gialli si cela una storia vera,
un’esperienza vissuta o un incontro che ha acceso la mia immaginazione. Prendi ad esempio ‘L’isola del Diavolo’: una storia autentica compressa in meno di cento pagine, con l’intento di far sentire al lettore le emozioni vissute da quegli uomini in quegli istanti cruciali. lo credo che la brevità dei romanzi sia un’arte, un modo di coinvolgere il lettore senza appesantirlo, soprattutto in un’epoca in cui sembra che l’interesse per la lettura stia gradualmente diminuendo. Anche per colpa di certe Case Editrici… Eppure, per me, la lettura è stata sempre una fonte di libertà, persino quando la condanna all’ergastolo ha tentato di privarmi di ogni opportunità.

In molti avrebbero cercato di dimenticare il passato, tu invece hai deciso addirittura di trarne dei libri. Come mai questa scelta?

È una verità spesso ignorata: molti
preferiscono voltare le spalle al passato, fuggendo da luoghi che evocano amarezza, tristezza o vergogna. Tuttavia, io credo fermamente che siamo la somma delle nostre esperienze, siano esse belle o brutte, e dobbiamo affrontarle con coraggio. Forse è per questo che ho iniziato a immergermi nella lettura, e successivamente ho trovato nella scrittura un modo per esprimere la mia fuga dalla realtà, se permetti la battuta, trasformandola gradualmente in una passione travolgente. Scrivere è diventato il mio rifugio, il mezzo per sfuggire alla prigione della mia mente, dove ogni passo e ogni errore può rivelarsi fatale. Puoi capire, vivere in trincea per tre decenni logora profondamente.

Se potessi vedere realizzato immediatamente un unico desiderio, quale sarebbe?

II mio più grande desiderio è vivere
gli anni che mi restano accanto alle
mie Labrador: Sasha, Gaia, Deva, e al
mio anziano meticcio, Muffino.
Questi cani non sono solo animali
domestici, sono i miei compagni più
fidati, i miei confidenti e le mie fonti
di conforto durante i momenti più
bui degli ultimi anni. Ogni istante trascorso lontano da loro è un tempo irrecuperabile, un’occasione persa di gioia e amore condiviso. Sono queste magnifiche creature a illuminare i miei giorni e a rendere i momenti più belli della mia vita assolutamente indimenticabili.

Stai già lavorando a un nuovo romanzo? Puoi anticiparci qualcosa?

Si, sto scrivendo un nuovo thriller. E nel mio ultimo romanzo, intitolato “Protocollo Astaroth”, mi immergo in un mondo di corruzione, intrighi e omicidi, dove la linea sottile tra verità e finzione si dissolve. Attraverso una trama avvincente, rivelo l’ombra inquietante di una teoria tanto audace quanto plausibile: il coinvolgimento della CIA e dei servizi segreti ucraini in una serie di attentati terroristici che hanno scosso le fondamenta della Russia. La storia si svolge in un contesto che potrebbe essere descritto come fin troppo attuale, gettando luce su oscuri segreti e mettendo in discussione le fondamenta del potere globale.

Spazio libero: puoi dirci tutto quello
che ti va!

Quando si tratta dei miei spazi liberi, negli ultimi tempi ho avuto la fortuna di
riconquistarne molti che avevo perso o
trascurato. Una delle attività più
significative che ho intrapreso è parlare
negli istituti scolastici del mio passato,
con l’intento di far comprendere ai giovani cosa significhi trovarsi nell’oscurità e quanto sia difficile ritrovare la luce. Questo percorso non è solo un atto di resipiscenza personale, ma anche un impegno per la legalità e
la giustizia. Credo fermamente che condividere storie autentiche di un
mondo spesso alieno e tortuoso possa
contribuire a ridurre i pregiudizi verso coloro che hanno affrontato sfide più grandi delle loro forze.

Tutti i romanzi di Federico Berlioz sono disponibili su Amazon, io vi ho già presentato questi romanzi:

Intervista bis a R. A. Eller

Ho già avuto occasione di parlarvi di questa autrice, dopo aver letto i primi volumi della sua eccezionale Gunsight Saga.

Da poco è uscito il quarto volume e, in attesa del capitolo conclusivo, ho pensato di togliermi qualche altra curiosità.

Potete trovare la precedente intervista qui.

Se volete farvi un’idea della storia, ecco le mie recensioni:
Gunsight
Nemesi
Dora
Almàs

È una delle migliori saghe che io abbia letto, con situazioni così variegate da catturare chiunque, vi consiglio di leggere subito il primo volume, perché sono certa che dopo non potrete che proseguire.

Tutti i suoi libri sono disponibili su Amazon.

* L’intervista *

La tua saga è ormai arrivata al quarto volume. Come ti senti? Sei soddisfatta dei risultati?

Devo dire di sì, sono molto contenta! E il merito è indubbiamente tuo e di tutte le altre bookstagrammer/lettrici e lettori che lo hanno letto, apprezzato e consigliato con tanta passione. Senza il vostro incredibile e prezioso aiuto, Gunsight sarebbe rimasto nascosto.
Da autrice non posso andare in giro a dire: leggete il mio libro perché è bello. È ovvio che nessun autore direbbe il contrario della propria opera e questo, ahimè, non lo rende affatto credibile come venditore. Quando lo dite voi lettori ci credo anche io, per cui: grazie di cuore a tutti voi che mi date fiducia.

Leggendola, ho apprezzato la precisione e la competenza tecnica in campi specifici (arti marziali, armi, Giappone, ecc.). Conoscenza diretta o tanto studio?

Si dice che bisognerebbe scrivere di quello che si conosce e sono d’accordo. Trovo indispensabile, soprattutto per gli autori, sapere di cosa stanno parlando. È chiaro che non si possa essere esperti di tutto, ma grazie a Dio oggi è possibile reperire ovunque le informazioni necessarie così da evitare errori insidiosi e stupidi. Quello che vediamo al cinema, spesso e volentieri non corrisponde alla realtà e per principio tendo a dare per scontato che il lettore ne sappia sempre più di me, per cui, dato che non voglio fare brutte figure, mi documento molto. Per alcune cose, come armi e combattimenti, ho un’esperienza diretta perché pratico Arti Marziali da circa un ventennio e più di recente mi sono iscritta a un poligono di tiro proprio per conoscere meglio le armi da fuoco.

Tra quanto uscirà il capitolo finale? Puoi anticiparci qualcosina?

Ehm… il capitolo finale di Gunsight, che per comodità chiameremo Quinto, si svolge circa un anno e mezzo dopo gli eventi di Almàs, che comunque è un abbastanza conclusivo di suo. Ragion per cui ho pensato di far uscire Quinto (non uccidermi)… un anno e mezzo dopo Almàs, quindi intorno a Maggio 2024. Non escludo comunque un cambio di piani editoriali, in queste cose sono piuttosto lunatica.
Mi piace definire Quinto il libro più dark della serie. Abbiamo un nemico veramente cattivo, senza alcuno scrupolo e che non guarda in faccia nessuno. I nostri avranno problemi seri a gestirlo e vedranno crollare (letteralmente) il loro mondo.

Quanto tempo hai impiegato per l’intera saga? E qual è stato il momento più difficile?

Ho iniziato a scrivere la saga di Gunsight all’inizio del 2016 per concluderla con molta calma alla fine del 2020.
Ho sempre scritto solo per me e mai con l’intenzione di pubblicarla, quindi non ho risentito della pressione di una scadenza e credo che questo abbia aiutato moltissimo nella gestione di una trama così complessa. Ricordo che in alcuni passaggi restavo ferma per mesi fino a quando non trovavo “la soluzione”, l’unica possibile. I problemi principali erano sempre gli stessi: “come fare arrivare il personaggio X al punto alfa in modo logico e non forzato?”. Adesso che è tutto nero su bianco sembrerà una sciocchezza, ma in alcuni punti mi sono scervellata per mesi. Vedeste i miei appunti!

So che stai scrivendo anche altro. Puoi accennarci qualcosa?

In programma per il 2023 ho due uscite, se tutto va bene.
Ad aprile vorrei pubblicare la raccolta di racconti sull’universo Gunsight. Avete presente le One Shot Stories che si vincevano nei miei contest su Instagram?
Proprio quelle. Saranno 10+1 bonus. In pratica sono “scene tagliate” dai libri della saga che fanno chiarezza su alcuni avvenimenti. Quella “bonus” sarà una sorpresa (spero gradita) per tutti.
Il secondo progetto invece riguarda un urban fantasy, quindi una cosa che non c’entra assolutamente nulla con Gunsight, né come storia né come genere. È un romanzo che ho scritto molti anni prima di Mike & soci e che sto riadattando. Spero vi piaccia. Io gli sono molto affezionata.

Qual è la cosa più difficile per chi si dedica alla scrittura?

La scrittura in sé non è difficile. L’autore è quella persona che se ne sta sempre un po’ per i fatti suoi, perché in testa gli parla già un sacco di gente che gli racconta cose. Un bravo autore è un osservatore che dietro ogni gesto o parola immagina una storia. Almeno io la vedo così.
Forse la cosa “difficile” è conciliare la scrittura – e quindi il proprio mondo creativo – con il lavoro quotidiano, le interruzioni, le aspettative dei lettori e gli editori che pubblicano di continuo stupidate pretendendo di convincere la gente che questo è proprio quello che vuole “il lettore”. È parecchio frustrante, lo ammetto e alle volte viene voglia di mollare tutto.

Qual è il personaggio che ami di più? E quello a cui senti di somigliare?

Questa domanda è cattivella perché nel bene e nel male li amo tutti. Amo le mille sfaccettature del loro carattere, le loro battute, perfino i loro difetti. Amo la glacialità di Lucilla, le battute di Skye, la folle lucidità di Mike, la pazienza infinita di Faulkner, l’incrollabile coraggio di Jade, la dedizione di Alexei e Kyoden… Toh, perfino la cieca arroganza degli antagonisti ha un suo perché: sono convinti fino all’ultimo di agire a fin di bene, tanto da generare un’ombra di dubbio.
Mi sento di somigliare un po’ a tutti, a dire il vero. C’è un po’ di me in ognuno di loro.

Perché un nome d’arte così criptico?

Oh, in fondo è un enigma molto semplice: si tratta di una lettura “all’inglese” delle iniziali del mio nome e cognome. Tutto puntato.
Mi serviva uno pseudonimo per tre motivi. 1: esiste già un’autrice col mio nome (incredibile ma vero). 2: penso che il mio italianissimo nome non sarebbe stato credibile in copertina con una trama e una storia come quella della saga. 3: ho sempre trovato attraenti i nomi puntati, quelli dove non si capisce se l’autore è uomo o donna. Per me non avrebbe alcuna importanza ma, triste da dire, ci sono ancora dei pregiudizi, soprattutto per il genere che tratto. Avete mai letto una spy story scritta da una donna?

Quali altre passioni ha R.A. Eller oltre a scrivere?

A parte le Arti Marziali, adoro il mondo dello spettacolo. Il cinema (non si direbbe, eh?!) e il teatro. Amo la magia e le emozioni che sanno creare e trasmettere i film, i musical, i balletti e le grandi opere. Se non fossi così maledettamente timida avrei fatto l’attrice.

Il prossimo sogno che vorresti vedere realizzato?

Credo che tutti gli autori vorrebbero vedere la propria opera su uno schermo (grande o piccolo) e il mio l’ho progettato proprio come se fosse un film, ma devo essere realista: a meno di non auto-produrlo da sola (cosa che non è materialmente possibile) mi sembra improbabile che accada.
Un sogno più realizzabile? Vorrei vedere la saga di Gunsight nelle librerie.

Intervista a Roberta Marcaccio

Buon pomeriggio, oggi voglio presentarvi un’autrice che ha al suo attivo diversi romanzi (vi ho già parlato di Il cactus non ha colpa) e alcune raccolte di racconti.

Da pochi giorni è stato pubblicato Profumo di camelia, che contiene otto racconti ispirati ad altrettante favole. La curiosità di saperne di più ha portato a questa intervista.

Tutti i libri di Roberta sono disponibili su Amazon.

Una raccolta di racconti ispirati alle favole. Com’è nata questa idea?

Ti ringrazio per questa domanda, ci tenevo a parlarne.
La genesi è molto semplice: dovevo scrivere otto racconti e mi serviva un filo che li unisse. Ho trascorso alcuni giorni in attesa di una risposta e la soluzione è stata otto favole. In realtà l’idea ha radici più lontane. Sono anni che sento il bisogno di usare le favole per i miei racconti o romanzi e Bakemono Lab mi ha servito l’occasione su un vassoio d’oro.

Qual è il racconto che ti ha maggiormente coinvolta, che senti più tuo?

Quello che mi ha coinvolta maggiormente è Ti sarebbe piaciuta, Claudia!. La storia di Nina è in parte vera, è un pezzetto della vita dei miei nonni materni e di conseguenza di mia mamma. Le storie che parlano di guerra mi coinvolgono in prima persona, sono le storie che mia nonna ha vissuto mentre portava mia mamma nella pancia e ha trasmesso tramite il codice genetico a tutti noi. Di Nina amo la sua capacità di narrare storie (la stessa qualità che aveva mia nonna e che ha tramandato poi a mia mamma), mentre di Luigi adoro la leggerezza (che non significa superficialità), tipica di mio nonno.

In base a cosa hai scelto certe favole e non altre?

Ho scelto le favole della mia infanzia. Quelle che ho amato leggere e su cui ho sognato. E una buona parte di queste le ho imparate a memoria con i film della Disney che i miei figli guardavano a ripetizione.
Ne ho amata una in particolare: La piccola fiammiferaia. Una storia tristissima (ma quale favola non lo è?), ambientata a Milano nella notte di Capodanno. Vita vive una vita diversa, ai margini, le persone le passano accanto senza accorgersi di lei o la schifano. I ricordi però hanno il potere di scaldarle il cuore.
Le favole fanno commuovere o sorridere e sono un condensato di emozioni e sentimenti. È questo il motivo per cui le ho scelte e spero che i miei racconti facciano commuovere o sorridere come le storie a cui si ispirano.

All’attivo hai altri racconti e tanti romanzi. Quale dimensione senti più tua?

Sono due tessuti narrativi totalmente diversi, ma entrambi affascinanti. Farei fatica a scegliere. Mi sento a mio agio con le storie brevi, dove per brevità non si intende accorciare e neanche omettere – il racconto è una giornata, un’ora, una situazione di cui non va tralasciato nulla – e la considero una bella palestra di scrittura. D’altro canto amo scrivere i romanzi; immergermi nella vita dei protagonisti, seguirli, farli crescere… è come avere altri bambini (o adulti) da accudire.

Come nasce un tuo libro? Qual è la prima cosa che fai?

Parto dall’idea, che può essere improvvisa (come per Tranne il colore degli occhi) o meditata (Profumo di Camelia). Appena ho l’idea definisco il soggetto, nella pratica decido per sommi capi quale sarà la trama e il ruolo dei protagonisti. In questa fase prendo appunti disordinati di ogni tipo, dal taglio di capelli al colore degli edifici. Fisso anche il piano temporale su cui si snoderà la storia.
Lascio sedimentare e poi comincio a disegnare i personaggi, appuntandomi qualsiasi dettaglio mi possa servire oppure no. Ogni cosa. A questo punto riprendo in mano il piano temporale e lo specifico meglio. E per finire butto giù la trama capitolo per capitolo. Se ho bisogno di focalizzare persone, luoghi o situazioni, prendo carta e matita e produco schizzi orrendi che comprendo solo io.
Chiudo in un cassetto per qualche mese e nel frattempo ricerco e studio tutto ciò che mi può servire per la storia.
Quando sono pronta inizio la prima stesura.

Domanda secca: perché scrivi?

Risposta secca: perché è il mio desiderio da quando, ragazzina, giravo con un quaderno nello zaino su cui volevo scrivere un giallo. Sono sempre stata una lettrice accanita di gialli ma non ne ho mai scritti.
Da ragazza mi sono dedicata più alla lettura e ho dimenticato il mio sogno nel cassetto. Però ho sempre continuato a scrivere, soprattutto il diario.
Si sa che i sogni fanno giri immensi e poi ritornano (o erano gli amori?); il mio sogno è tornato da me a trent’anni e non l’ho lasciato andare più. Sai quando si accende la lampadina e all’improvviso comprendi tutto?
Ecco! A me è successo così.

Quali altre passioni hai, oltre alla scrittura?

Farei prima a dire quali non ho. Amo leggere, ovviamente, e studiare. Un paio d’anni fa mi sono iscritta alla scuola di naturopatia ed è stata un’esperienza meravigliosa.
Ho la passione per tutto ciò che è naturale, bio e homemade. Amo gli oli essenziali, i cristalli, i fiori di bach e australiani. Pratico il Reiki e il Pilates.
E, per rilassare la mente e ritrovare la calma, lavoro a uncinetto o ai ferri. A volte creo oggetti interessanti (bijoux, sciarpe, scaldacollo, berrette), altre invece faccio e disfo. Quello che conta è muovere le mani e zittire la mente.

Stai già lavorando ad altro? Puoi anticiparci qualcosa?

Sì, sto lavorando a due manoscritti.
Uno, senza anticipare troppo, vedrà la luce nei primi mesi del prossimo anno. È il primo romanzo che ho scritto e avevo deciso che non l’avrei mai pubblicato. Volevo cestinarlo. Poi qualcuno o qualcosa ha fatto sì che decidessi di rimetterci mano e sono davvero felice che abbia trovato un suo destino.
L’altro è nato lo scorso anno durante una vacanza in Trentino Alto Adige. Terminata la fase di beta reading, andrà all’editore. È stato un lavoro di scrittura interessante. Ho amato scriverlo e spero incontrerà il favore dei lettori.
Inoltre ho una storia pronta per la prima stesura (sono alla fase dello studio) più alcune idee per nuovi soggetti.

Intervista a Maura Puccini

Buon pomeriggio, oggi voglio parlarvi di Maura Puccini, autrice che ha al suo attivo già tre libri.

L’ultimo è stato pubblicato poco più di un mese fa, è un giallo intitolato Tocca a te, disponibile su Amazon.

So che insegni e che questa non è la tua prima pubblicazione. C’è qualcosa in comune tra insegnamento e scrittura?

Insegno con passione da diversi anni e, fin dall’inizio della carriere, scrivo testi teatrali, fiabe, racconti e filastrocche per i miei ragazzi. Quindi sì, c’è una correlazione tra il mio lavoro e la scrittura, in quanto entrambi i percorsi si alimentano di creatività e di voglia di comunicare, tipici del mio modo di essere. Scrivere un romanzo, però, è un percorso indipendente dalla mia formazione e necessita di un estenuante perfezionamento delle tecniche narrative.


Tre libri completamente diversi: uno per ragazzi, uno sul difficile tema dell’anoressia e ora un giallo. Com’è stato passare da un genere all’altro?

Il libro per ragazzi è nato in occasione di un’iniziativa benefica a favore dei bambini ospiti di una casa famiglia della mia zona. Io e altri autori abbiamo realizzato favole pedagogiche tese a lenire il senso di abbandono nei piccoli ospiti della struttura. Il romanzo di formazione sul tema dell’anoressia, invece, è servito a dare un messaggio che in quel momento mi stava a cuore. Ero appena uscita da una grave malattia e ho preso a pretesto la storia di Bianca e del suo grave disturbo alimentare, per raccontare il disagio di essere percepita per molti non come una persona che soffre, gioisce e spera come tutti i cosiddetti sani, ma emblema, io stessa, della malattia.
Il romanzo giallo, invece, è stata una sfida con me stessa. Sono una lettrice appassionata del genere e mai e poi mai avrei pensato di essere capace di scriverne uno. Una sfida, che a giudicare dai feedback ricevuti finora, spero di aver superato.


Quale, tra i tuoi libri, è stato più difficile da scrivere e quale senti più tuo?

Il libro più complicato a livello emotivo è stato “Come una piuma“. Percorrere il dolore altrui e, di conseguenza, il proprio, non è un viaggio piacevole, è come arrivare fino in fondo a un pozzo e poi tentare di risalire in superficie.


Stai già lavorando a un altro libro? Di che genere? Puoi anticiparci qualcosa?

Sto progettando il sequel di “Tocca a te“. Purtroppo, o per fortuna, mi sono letteralmente innamorata dei miei personaggi e voglio stare in loro compagnia per un bel pezzo ad assistere e raccontare l’evoluzione della loro storia personale.


Che ruolo ha la scrittura nella tua vita? Come riesci a “incastrarla” nella vita di tutti i giorni?

La scrittura riempie alcuni spazi vuoti lasciati dal lavoro e dalle incombenze familiari e va benissimo così. Non riuscirei a scrivere per più di un’ora o due al giorno: è un’attività che scava dentro e richiede grande energia mentale e psichica. L’importante è essere costanti e riuscire a mantenere il ritmo più confacente.


Hai una “routine di scrittura”? Scrivi quando senti l’ispirazione oppure rispetti una sorta di programma?

La programmazione è una parte essenziale del processo creativo, altrimenti si rischia che la procrastinazione e la mancanza di pianificazione distruggano la voglia di scrivere. Inoltre mi impongo di buttare giù la prima bozza del manoscritto solo dopo aver progettato ogni singola scena della storia. In un giallo questo lavoro è fondamentale al fine di rendere la trama coesa e coerente in tutti i singoli dettagli.


Quali altre passioni hai, nella vita? Hobby, passatempi, momenti di relax

Oltre alla scrittura, coltivo la passione per la lettura: preferisco un libro alla TV e non mi addormento se prima non leggo un po’ di pagine. Mi piace stare all’aria aperta e, vivendo in una piccola isola, mi ritaglio tanti momenti per fare lunghe passeggiate rigeneranti in riva al mare.


Domanda libera: racconta quello che vuoi!

Sono grata alla vita perché ho l’opportunità di fare ciò che più mi piace. Non è scontato e non è facile: talvolta è necessario scendere a patti, soprattutto per chi come me, non vive di scrittura. Vorrei dire ai tuoi follower di trovare la propria dimensione creativa, qualunque essa sia, e di esercitarla. Non è mai tardi per farlo. Attraverso il canale artistico-espressivo si riesce a trovare la propria dimensione, quella più autentica e appagante, in questo mondo.

Intervista a Alessandra M. Mazzara

Buon pomeriggio, un po’ di tempo fa vi ho parlato del bellissimo romanzo di Alessandra, Nel tempo che resta, che mi ha davvero conquistata con le sue atmosfere i suoi personaggi. Ho proposto, quindi, all’autrice – che ringrazio per la disponibilità – questa breve intervista, perché avevo voglia di saperne di più. Buona lettura.

Nel tempo che resta è un romanzo in cui i legami, familiari ma anche di amore e amicizia, hanno un peso preponderante. Com’è nata l’idea di una storia così articolata?

La storia che racconto nel mio romanzo nasce in un freddo pomeriggio d’inverno di alcuni anni fa quando mia nonna, già avanti con gli anni, un po’ per ingannare il tempo, un po’ per soddisfare le mie insistenti curiosità sul suo passato, mi raccontò per la prima volta di quando – era poco più che una ragazzina – fu chiamata da una vicina di casa perché scrivesse per lei una lettera al figlio emigrato negli Stati Uniti. La donna era analfabeta e mia nonna, fresca di diploma elementare, era l’unico ponte possibile tra l’oceano e quel figlio così lontano. Bice – mia nonna – accettò volentieri, dando inizio così ad una lunga corrispondenza (leggeva anche le lettere di risposta) interrotta solo a seguito dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando Bice sfollò con la sua famiglia nelle campagne, lasciandosi la casetta sulla torre della Giudecca e il pericolo delle bombe alle spalle. Dopo la morte della nonna – avvenuta nel 2019 – i suoi racconti cominciarono a tornarmi in mente con prepotenza, soprattutto questo delle lettere. La immaginavo seduta al suo vecchio scrittoio, nella sua piccola stanza sulla torre, con il pennino e i fogli, le buste, circondata da tutte le attese e le speranze che quelle lettere contenevano. Beatrice Lipari, la protagonista di Nel tempo che resta, nasce proprio da quest’immagine. Il romanzo, poi, è ricco di aneddoti di nonna sparsi qua e là nella storia. Le strade, i vicoli, alcuni personaggi presenti sono realmente esistiti: la Torre della Giudecca (conosciuto anche come Palazzo Ciambra), ad esempio, è uno degli edifici più antichi di Trapani. Tutto il resto, invece, è frutto della mia fantasia.

Hai scritto che il libro è ispirato alle storie che ti raccontava tua nonna; eravate molto legate? Qual è il più bel ricordo che la riguarda?

I miei nonni materni abitavano nell’appartamento di fronte al mio. È stato, quindi, inevitabile crescere con loro. Ricordo i pomeriggi passati insieme al nonno a guardare i cartoni animati, lui seduto sulla sua sedia e io accucciata sul divano, avvolta dalla densa nube grigia delle sue Merit, fumate una dopo l’altra e dalle grasse risate di nonno ogni volta che un’incudine cadeva sulla testa del povero coyote. La nonna, poi, è stata come una seconda mamma. Ricordo la sua dolcezza nel pettinarmi prima di andare a scuola, una spruzzata di Colonia e un bacio sulla fronte. Oppure quando mi prestò la sua poltroncina verde – nonna aveva già quasi novant’anni – perché io e il mio pancione di nove mesi potessimo star comodi. I ricordi più belli sono fatti di odori, colori, di piccoli gesti invisibili, di sensazioni che rimangono sopiti dentro di noi per poi risvegliarsi come d’incanto all’improvviso, forse quando siamo più fragili, pronti a darci quel conforto che serve quando ci siamo persi e sentiamo l’urgenza di ritrovare noi stessi in quello che siamo stati.

Siciliana e amante della tua terra. Considereresti mai l’idea di trasferirti all’estero, come è stata costretta a fare la tua protagonista? Perché sì o perché no?

Credo si debbano cogliere al volo tutte le occasioni che la vita ci mette davanti e accettare di percorrere anche quelle strade che all’inizio sembrano strette o difficili perché, spesso, sono queste quelle che alla fine del viaggio conducono alle piazze più grandi, quelle piene di opportunità. Quindi, sì, probabilmente considererei l’idea di andare, ma solo se la motivazione è davvero valida. Anche se può fare paura…

Mi incuriosisce molto il personaggio di Rosa Virgilio. Com’è nata la sua figura? È ispirata a una persona reale?

Rosa Virgilio era la mia bisnonna, la madre di nonna Bice. Non l’ho conosciuta, se non attraverso i racconti della nonna, di mia madre e delle mie zie, racconti di una donna dalla forte personalità, convinta fascista e dalle mille contraddizioni. Timorosa di tutto, amava i tarocchi, le carte e scrutare i fondi di caffè, passioni trasformate ben presto in una vera e propria professione. Il suo “studio” era proprio nella casa sulla torre della Giudecca a Trapani, dove ho ambientato il romanzo e dove ogni giorno, a tutte le ore, file di trapanesi si recavano per controllare l’andazzo di un affare, per sapere in anticipo la buona riuscita di un matrimonio o l’arrivo di un figlio… Aveva un carattere autoritario e burbero, poco incline alla tenerezza, suscettibile e molto legato al denaro. Insomma, il personaggio perfetto per ricamarci su una storia per un romanzo!

So che prima di questo romanzo hai pubblicato anche un racconto autobiografico. Quanto è stato diverso?

Ho pubblicato “Storia di due sorelle e di un cromosoma in più” nel 2018 con la casa editrice Il ciliegio. Nel libro racconto la storia di mia sorella Chiara, nata con la Sindrome di Down, e del mio rapporto non solo con lei, ma soprattutto con la sua sindrome. Lo abbiamo scritto in due ed è stato divertente ed emozionante al tempo stesso, tornare indietro nel tempo ai ricordi di infanzia, alle cose belle fatte insieme, a quelle più toste superate. “Nel tempo che resta” ha richiesto più tempo e più fatica, più lavoro di immaginazione e di concentrazione. In più, se con “Storia di due sorelle e di un cromosoma in più” la scrittura è filata liscia come l’olio, con il romanzo ho dovuto fare i conti con lunghi periodi di silenzio, difficili da superare.


Stai già scrivendo altro? Puoi anticiparci qualcosa?

Già da qualche mese sono al lavoro con un altro romanzo. È un progetto molto ambizioso, il primo volume di quello che, spero, sarà una trilogia, una saga familiare anche in questo caso liberamente ispirata ad eventi familiari.

Quali altre passioni hai, a parte la scrittura?

Leggo molto, con una predilezione per i romanzi della letteratura ebraica e yiddish, inglese e americana. Inoltre, adoro viaggiare, calarmi nelle culture diverse dalla mia e scoprirne i retaggi. E poi, il mercoledì non perdo neanche un numero del Topolino, che divido con mio figlio!

Domanda libera: fai una domanda e dai una risposta, quel che avresti voluto dire e non ti ho chiesto!

La top ten dei miei autori e romanzi preferiti (non in ordine di importanza)?
Eccola!
– Le sorelle Brontë, per la profondità d’animo e la modernità, nonostante il periodo vittoriano intriso di censura e perbenismo nel quale vissero, delle loro eroine. È incredibile quanta passione, quanta conoscenza dell’animo umano ci sia in un romanzo come Cime tempestose, scritto da una donna che a mala pena usciva di casa solo per andare in Canonica.
– Charles Dickens, per le denunce sociali. Di questo scrittore apprezzo tanto la capacità di descrivere il dettaglio, di rendere il particolare un elemento portante della narrazione.
– I fratelli Singer, a loro il grande e impagabile merito di aver mantenuto in vita attraverso i loro romanzi e racconti un mondo che non c’è più, quello degli shtetl annientati dalla furia nazifascista.
– Nicholas Sparks. Leggo i suoi romanzi in lingua originale, in estate, quando il caldo opprimente della Sicilia ti invita a cercare leggerezza nelle cose. Sono storie rilassanti, a volte un po’ scontate, ma che lasciano sempre alla fine una bella sensazione di serenità.
– Fannie Flagg. Adoro il suo stile, la sua ironia, il suo prendersi e prendere in giro, la sua visione del mondo e delle cose, la sua capacità di catapultarti dritta in Alabama con la sensazione di non volertene più andare via.
– Simonetta Agnello Hornby, la scrittrice siciliana contemporanea più grande in assoluto.
– Nicholas Barreau, per le magiche e scintillanti ambientazioni parigine dei suoi romanzi.
– Alessandro Piperno, scrittore raffinato.
– Kent Haruf. Siete mai stati a Holt? Beh, se la vostra risposta è no, affrettatevi!
– Eshkol Nevo. Leggere un suo romanzo è come fare un viaggio nella mente umana.

• Cime Tempestose, di Emily Brontë
• La vita davanti a sé, di Romain Gary
• La famiglia Karnowski, di Israel J. Singer
• Canto di Natale, di Charles Dickens
• Shosha, di Isaac B. Singer
• Un filo d’olio, di Simonetta Agnello Hornby
• Pane, cose e cappuccino, di Fannie Flagg
• Le ceneri di Angela, di Frank McCourt
• La trilogia di Holt, di Kent Haruf
• Il diario di Anne Frank, il mio primo libro, letto a undici anni. Mi ha aperto gli occhi. E la mente.

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Intervista a Mohammed Bouraya

Buon pomeriggio, un paio di settimane fa vi ho parlato del libro di Mohammed, intitolato Contatto.

Si tratta di un romanzo che mi ha incuriosita per diversi motivi, quindi ho deciso di intervistare l’autore, che si è gentilmente prestato e che ringrazio moltissimo per la disponibilità e la simpatia. Buona lettura.

Il tuo romanzo ha più piani di lettura e giochi molto con le parole. Com’è nata questa idea?

Il mio romanzo è frutto dello studio della letteratura classica e dei vari movimenti culturali passati. L’obiettivo è stato quello di produrre un’opera che sia il prosequio letterario di un mondo passato, facendo rivivere i classici ma, comunque, apportando innovazioni. D’altronde la mia penna dev’essere sui generis.
L’opera pertanto possiede almeno tre possibili letture: una lettura di svago volta a godere della trama e basta; una lettura più intensa volta alla comprensione delle varie tematiche sociali e psicologiche; e infine una lettura filologica, volta alla comprensione dei significati celati, della simbologia letteraria e della letteratura in generale.

Qual è il principale messaggio che vuoi far arrivare con Contatto?

Il significato lo si evince già dal titolo stesso: Contatto.
La parola è polisemica, presenta più accezioni e significati: contatto tra persone, contatto tra culture, contatto fisico, contatto sessuale, contatto con Dio; Essere un contatto; “Con Tatto” bisogna leggere il romanzo per poterlo comprendere appieno. E infine il contatto, a mio parere, più creativo, ovvero quello tra me scrittore e tu lettore, che nel mio romanzo assume un ruolo centrale, in quanto contribuisce alla stesura dell’opera stessa, riempendo gli spazi vuoti, dubitando, riflettendo e trovando possibili e logiche soluzioni.

Come mai hai scelto di dare voce a una ragazza? Non sarebbe stato più semplice immedesimarti in un ragazzo?

Il mio è un romanzo sociale a tutti gli effetti. In esso si trovano tante delle problematiche che affrontano le persone giorno dopo giorno. Tra i tanti temi e le lotte che condivido c’è quella femminista. Mettere al centro una donna e trattare la violenza di genere è un argomento importante e che ha un doppio e positivo risvolto: primo, la denuncia e il dar voce ad un tema molte volte, purtroppo, sottovalutato; secondo, chi lo legge si immedesima e in parte prova empatia e, chissà, conforto.

Quanto contano, nella tua vita, le tradizioni e la religione?

La religione è tanto se non tutto. Parto dal presupposto che le idee non sorgono per caso e che la Provvidenza abbia scelto me per raccontare questa storia (ed altre che vedremo in futuro, In’sha’Allah), anziché una qualsiasi altra persona.

Questo è stato il tuo romanzo d’esordio? Stai già pensando a un secondo libro?

Ho già ben 3/4 romanzi nella mia mente che non vedono l’ora di uscire da essa e vivere.

Quanto è stato difficile riuscire a pubblicare il libro?

Oggigiorno tutti si sentono un po’ scrittori, giusto perché conoscono un po’ la grammatica o perché hanno ricevuto qualche mi piace pubblicando due poesie su un social. Non voglio sminuire il lavoro di nessuno, ma tutta questa massa di scrittori contribuisce ad intasare le case editrici e quindi rendono la vita dura a tutti gli altri.
Aggiungi il fatto che per la gran parte delle case editrici non conta il prodotto culturale, ma conta solo se la storia sia vendibile (dipendendo anche da chi la vende), e così ottieni molto attrito e difficoltà per far pubblicare un qualsiasi romanzo.

Dal testo e dai tuoi studi, è evidente che ami le parole e la letteratura. Quali altri passioni hai?

Mi piace la cultura tout court: amo le lingue, amo viaggiare, amo conoscere le persone, amo lo sport, amo educare ed essere educato. Amo la vita.

Sei ancora molto giovane. Come ti vedi tra dieci anni?

La gioventù è qualcosa di relativo. Comunque non saprei dare pronostici ben definiti. Ho ancora tanti sogni nel cassetto e mi piacerebbe esaudirli uno ad uno.

C’è un libro che avresti tanto voluto scrivere tu?

Il mio romanzo è realista e magico-realista e per alcuni brevi tratti anche surrealista. Non so se riuscirei mai ad appropriarmi di un’opera altrui, ma sicuramente trovo che i classici di quei generi sopracitati siano il meglio in assoluto per il mondo della letteratura, perché racchiudono metafore ed interpretazioni molto prossime alla realtà e all’uomo di tutti i tempi. In particolar modo, i grandi classici che ho amato e dai quali ho rubato qualcosa per la loro grandezza e lungimiranza sono “Pedro Páramo”, “I Malavoglia”, “Mastro don Gesualdo”, “Uno, Nessuno, Centomila”, “Il fu Mattia Pascal”, “Niebla”, “Don Chisciotte della Mancia”, “Cent’anni di Solitudine” e “la Divina Commedia”, tutte opere magistrali.

Domanda libera: raccontaci quello che vuoi!

Certo, la medicina è importante per curare l’uomo da un punto di vista fisico, biologico o anatomico, ma la letteratura è altrettanto importante per curare l’uomo nel suo aspetto interiore. Le storie ben narrate salvano, perché creano in noi un rapporto di immedesimazione, empatia e comprensione di sé. Ci conforta sapere che qualcuno abbia già vissuto certi tormenti, ci conforta riflettere, conoscere e trovare soluzioni, ci conforta sapere che non siamo soli.

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